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Adozioni, storia di Alain e dei suoi genitori

 
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BUBBOLINA
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MessaggioInviato: Dom 26Feb17 21:29    Oggetto: Adozioni, storia di Alain e dei suoi genitori Rispondi citando

Adozioni, storia di Alain e dei suoi genitori: “Ci ha insegnato a superare ogni difficoltà”

BY LA REDAZIONE | 23 GENNAIO 2017 ATTUALITÀ
di Letizia Bucalo Vita

Un social media manager, una farmacista e un cucciolo d’Africa che non aspetta altro che diventare un figlio. Loro, genitori ancor prima di abbracciare il loro bimbo. Combattivi e determinati, hanno superato ostacoli forse per la maggior parte delle persone insormontabili. E’ questa la storia di Paolo e Barbara che dopo una serie incredibile di avversità riescono a portare a casa Alain. Il loro figlio amatissimo.

Sono romani. Si sono conosciuti in parrocchia nel 1991. All’inizio della loro storia, così come molti giovani innamorati, ancora studenti e con progetti per il futuro, Paolo e Barbara hanno ancora tutto da desiderare. Probabilmente non immaginano nemmeno quanta forza avrebbe avuto il loro sentimento e quanto lontano li avrebbe portati.

E’ Paolo a raccontare a L’Eco del Sud di come Alain sia entrato a far parte della loro vita. Ed inizia parlando di Barbara. Sua moglie e mamma del bimbo tanto cercato. Definisce il loro rapporto “solido, paziente e stimolante”. Si sono sposati nel 2003 e, come molte coppie fanno, decidono di prendesi un po’ di tempo per comprendersi, per imparare ad apprezzare la vita sotto lo stesso tetto. Barbara sogna da sempre una famiglia numerosa. Vorrebbe cinque figli, dei quali almeno due adottati. Paolo confessa che di figli ne basterebbero due. Uno biologico e uno da adozione. E, dal sogno di una famiglia rumorosa e innamorata, alla realtà di analisi ospedaliere che pugnalano questo desiderio, il passo è stato tutto sommato breve.

Un po’ di tempo per riprendersi dalle prime informazioni dolorose e la decisione di entrare nel vortice della fecondazione assistita. Un inferno. Che a molti certamente avrà dato la possibilità di coronare un sogno. Per Paolo e Barbara non è stato così. “Una mazzata alla tua stabilità mentale. E anche a quella economica. Questo è stato. Abbiamo perso lucidità tanto siamo stati proiettati verso il risultato da raggiungere. Il nostro rapporto è solido. Perché siamo riusciti, insieme, a uscire da questo gorgo maledetto”. Così, Paolo ricorda uno dei periodi più difficili della coppia. Stanchi, sfiniti, delusi, affranti. Non è stato facile riprendersi e riuscire a mollare la presa. Comprendere che, sì, era giunto il momento di smetterla. Perché così il bimbo non sarebbe arrivato.

Dopo aver metabolizzato, Paolo e Barbara ripensano all’idea dell’adozione. Ci sono delle perplessità. Barbara non vuole che sia un ripiego. Paolo è preoccupato dalle lungaggini burocratiche, dal dover essere messo sotto esame, giudicato, valutato. Principalmente, dall’attesa di questo figlio che davvero tanto desiderano entrambi. Partecipano ad una riunione con un’associazione che presso il Comune di Roma si occupa di dare informazioni tecniche a chi decide di adottare un bambino. In realtà Paolo descrive questo incontro come un momento utile “a demolire emotivamente i partecipanti preparandoli alle possibilità peggiori cui sarebbe stato possibile imbattersi”. Una delle frasi ripetute più volte in quella occasione: “Voi resterete sempre e comunque un ponte tra il passato di vostro figlio e il suo futuro”.

Segue un periodo confuso, eccitato, preoccupato e teso fatto di scartoffie, incontri con gli psicologi che poi sono gli stessi che compilano il dossier che arriva in tribunale. Le ansie e la paura di Paolo di essere esaminato vengono meno. Sia la psicologa che l’assistente sociale incontrate si dimostrano capaci. Arriva anche per loro questa idoneità tanto sperata. Così tentano una doppia strada, dando disponibilità ad adottare sia sul territorio nazionale che internazionale. A colloquio con un giudice, molto tempo dopo, scopriranno che adottare un bambino a Roma è cosa pressoché impossibile: si parla di duemila coppie richiedenti ogni anno e di 100 bimbi disponibili.

L’adozione internazionale dà agli aspiranti genitori un anno di tempo per scegliere uno degli enti accreditati cui affidare la pratica di adozione. Per motivi di privacy non sono poi tante le informazioni sull’ente. Paolo e Barbara si ritrovano a scorrere elenchi dei paesi entro i quali i singoli enti operano. Un anno di tempo per affidare a degli sconosciuti il tuo destino e quello di un bimbo che in qualche parte del mondo ti sta aspettando. Paolo e Barbara vogliono che il bimbo venga dall’Africa. La scelta cade sul Congo Khinshasa. Il Paese è in piena guerra civile dal 1994. Una guerra che ha fatto numerosi morti. Di poco inferiore a quelli che ha fatto la seconda guerra mondiale. Il racconto di Paolo si fa sempre più appassionato “Ci siamo detti: Coroniamo il nostro sogno ed evitiamo che un innocente finisca, nella migliore delle ipotesi, a fare il bimbo soldato”.

A Khinshasa, l’ente che si occupa di questa adozione si appoggia a due strutture: la Maison Enrica e Casa Marisa guidata da suor Benedetta. E’ lei ad identificare un bimbo: Alain. Parte la richiesta al tribunale locale. C’è un tempo in cui un parente di Alain potrebbe reclamare l’affido. Questo non succede e dopo altri lunghi ed estenuanti “passaggi” burocratici arriva il 28 marzo 2013, giorno in cui, finalmente, Paolo e Barbara partono per Kinshasa. Lì abbracceranno per la prima volta Alain. Il loro bambino.

Trascorrono 18 giorni a Casa Marisa. Conoscono tutti i bimbi ospitati dalla struttura e dopo le prime due notti in quel luogo tanto differente dall’Italia, Alain dorme con loro. A Khinshasa si parlano il Lingala e lo Swaili. Alain parlava una lingua tutta sua perché nato a Mokanu, nella regione del Bandundu. Qualcuna delle sua parole è in Francese. Non è stato facile comunicare ma è il caso di scrivere che l’amore fa miracoli. Ed il miracolo si completa quando c’è il “via libera” per l’Italia e questa famiglia, unita, parte per Roma. E’ il 15 aprile del 2013 il giorno in cui, in aeroporto, Alain conoscerà i suoi nonni. Lì ad attenderlo.

Inizia una nuova vita per il piccolo. Conosce un “mondo” con acqua che esce dai rubinetti – a Casa Marisa, Alain poteva bere un bicchiere d’acqua tre volte al giorno – energia elettrica, tante auto nelle strade. E le strade sono persino asfaltate. E’ un periodo fatto di incubi notturni, di risvegli con il volto rigato dalle lacrime… Alain ha paura che Paolo e Barbara possano decidere di “restituirlo” al suo Paese d’origine. Mesi in cui è stato amato ed accettato da molti. Ma è capitato che qualcuno lo abbia respinto. “Ed Alain ha dimostrato anche in queste rare occasioni di avere una grandissima capacità di socializzare”. A chi lo ha respinto il bimbo ha risposto con un sorriso ed un “ciao amico, corriamo amico?” e un invito a giocare.

“E’ forte come un leopardo del Congo. E’ dolce come lo sono gli africani. Di una dolcezza fatta di onestà intellettuale. Ed è testardo. Ed è mio figlio, la mia gioia, il mio orgoglio e la nostra più grande fortuna. Mi ha fatto vedere il mondo in modo differente perché mi ha insegnato che tutte le difficoltà si possono superare”. Paolo vuole lasciare un messaggio a chi sta leggendo, in particolare a chi ha nel cuore il desiderio di adottare un bambino: “Non serve essere un eroe né un superuomo per divenire genitore di un bimbo in adozione. Serve comprendere che, con tanta pazienza, avrete fatto una cosa bellissima. Perché quando adotti un bimbo il dono lo ricevi ancora prima di farlo”.



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